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Vaccini, il doppio fronte
Lottare contro il tempo. Ma anche con i Big Pharma e accelerando sul Piano interno di distribuzione. Accordo per la PA firmato ieri. Letta verso il Nazareno. La ricetta della felicità anti Covid.
Una lotta contro il tempo. Il governo deve ancora stabilire quali saranno i nuovi divieti (sapremo davvero entro domani) e intanto lavora molto al piano vaccini. Su due fronti: quello esterno, dove la battaglia è, attraverso la Ue, contro le case farmaceutiche, con l’obiettivo di avere più vaccini possibili. E forse anche di fabbricarli in Italia (Gino Strada chiede di sospendere i brevetti dei Big Pharma, il presidente della Regione Veneto Zaia chiede più coraggio nel fare per conto nostro, rispetto a Bruxelles). Sul fronte interno si vorrebbe razionalizzare la somministrazione, uscendo dal caos delle diverse priorità, e tempistiche, delle varie Regioni. Per dire, Lazio e Sicilia sono già sugli over 70… Teoricamente dovremmo avere un approvvigionamento di vaccini per 500 mila dosi al giorno dal prossimo mese e per tutto il secondo trimestre. Oggi come oggi però non riusciamo a iniettare neanche le 200 mila dosi, obiettivo di questo periodo. Draghi ieri ha parlato per sottolineare l’importanza del nuovo accordo sulla Pubblica Amministrazione, raggiunto con i sindacati. Ieri firma a Palazzo Chigi con Landini. Sul fronte politico c’è grande attesa per Enrico Letta, segretario del Pd. Deve sciogliere la riserva ed ha i favori di quasi tutta la stampa nazionale. Davide Casaleggio ha presentato il suo “Controvento” ma non sembra aver migliorato il suo rapporto con i dirigenti dei 5Stelle. Interessanti le statistiche sul benessere calato in Italia e la depressione da Covid. Ci sono però anche storie di persone che si dedicano al prossimo, come Olivero del Sermig intervistato dal Corriere della Sera. Dare la vita per gli altri è anche una grande ricetta per la felicità. Ecco i titoli, intanto.
LE PRIME PAGINE
Le chiusure, i nuovi divieti o i vaccini? Il dilemma dei quotidiani riguarda sempre e comunque il Covid. Per La Stampa ad esempio, è il nuovo decreto il tema giusto, su cui aprire la prima pagina: Decreto Draghi, l’Italia si fa rossa. Repubblica si porta avanti: Pasqua chiusi in casa. Quotidiano nazionale sta anch’esso sulle festività: A Pasqua lockdown come a Natale. Il Messaggero salva il fine settimana ma minaccia: L’Italia chiude da lunedì. Il Mattino: Varianti, De Luca chiude tutto. Usare l’espressione “chiudere”, sarà anche una semplificazione linguistica necessaria, ma induce ad una certa confusione. E infatti La Verità insiste su un’alternativa che non è proprio condivisa dal mondo scientifico o dai medici della terapia intensiva: Invece di chiudere, curate. L’Avvenire riflette sulle conseguenze della pandemia: Covid spazza-benessere. Mentre Il Corriere della Sera guida il gruppetto di quotidiani che sceglie di andare sulla campagna vaccinale, annunciando: Vaccinazioni nelle aziende. Altro annuncio del Giornale: Arrivano i vaccini. Il Fatto e Libero se la prendono con i furbetti, come da loro tradizione. Il giornale di Travaglio: La furbata dei politici vaccinati come avvocati. Quello di Feltri: Vaccini a chi non li merita. Unico giornale che mette la politica nel titolo di prima è il Manifesto con un gioco di parole sul possibile nuovo segretario del Pd: Di Letta e di governo. Mentre il quotidiano economico Il Sole 24 Ore celebra giustamente l’accordo firmato dal Governo con i sindacati del pubblico impiego: Patto governo-sindacati per la nuova PA.
ANCORA 24 ORE, INTANTO CHIUDONO PUGLIA E CAMPANIA
Il Governo sembra intenzionato ad andare su nuove misure di contenimento del virus, ma i ministri discutono tra di loro. Lega e Forza Italia temono chiusure indiscriminate. E dunque si capirà solo domani che cosa davvero succederà su questo fronte. Intanto Puglia e Campania già intervengono, mentre in Piemonte gli ospedali si occuperanno solo di Covid. Fabrizio Caccia sul Corriere:
«A grandi passi verso la nuova stretta anti Covid. Mario Draghi, però, si è preso altre 24 ore per decidere. La cabina di regia governo-Cts, riunita ieri sera dal premier a Palazzo Chigi, attenderà infatti oggi gli ultimi dati sulla diffusione del contagio. Poi, la Conferenza Stato-Regioni, convocata per le ore 10, valuterà l'informativa finale del ministro della Salute, Roberto Speranza. E domani il Consiglio dei ministri, convocato per le 11, varerà le nuove misure ad hoc , appena 6 giorni dopo l'entrata in vigore del Dpcm del 6 marzo. Resta da capire quando diventeranno operative: lo stesso Draghi aveva promesso di comunicare le decisioni in anticipo, per evitare chiusure last minute che finirebbero per danneggiare le varie categorie. E dunque appare improbabile che si parta già questo weekend, mentre sembra ipotizzabile il via al decreto per lunedì 15 marzo, quando però l'Italia potrebbe già trovarsi quasi tutta in zona arancione o rossa, per i cambi di colore delle regioni dovuti al progredire della pandemia. E in effetti, sui territori, molti sindaci e governatori la stretta l'hanno già decisa autonomamente. Il governatore della Puglia, Michele Emiliano, per combattere gli assembramenti ha vietato da ieri fino al 6 aprile «lo stazionamento» davanti alle scuole e nei luoghi pubblici (piazze, lungomare, belvedere) «se non si è in solitudine o in compagnia di persone conviventi o del proprio nucleo familiare o se non per usufruire di servizi essenziali». E pure il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, ha disposto da oggi fino al 21 marzo la chiusura al pubblico di lungomare, parchi e piazze «fatta salva la possibilità di accesso agli esercizi commerciali e alle abitazioni». Perché i contagi aumentano, purtroppo. Durante la cabina di regia, ieri, i ministri si sono divisi».
VACCINI 1. VIA AGLI OVER 70 ANNI IN LAZIO E SICILIA
Nel Lazio e in Sicilia da oggi tocca a chi aveva 20 anni nel 1968. Ma lo sforzo dell’esecutivo è quello di unificare i comportamenti e le priorità. Teoricamente, secondo quanto promesso dalla Ue e dalle case farmaceutiche, dovremmo avere nel secondo trimestre, aprile, maggio e giugno, la disponibilità di più di 530 mila dosi al giorno. Mentre nei primi tre mesi dell’anno ne abbiamo avuti di fatto circa 150mila. Uno dei problemi di fondo è che il ritmo della somministrazione è ancora molto lento, rispetto alle previsioni di rifornimento e alle ambizioni e diseguale fra le regioni dello Stivale. Sul nuovo piano vaccini del Governo sintetizzano così sul Corriere Salvia e Querzé:
«Stop alle regole diverse da regione a regione, che finora hanno avuto un ampio margine di discrezionalità. Per decidere chi si deve vaccinare prima, il piano vaccini del nuovo governo usa il criterio delle fasce d'età, dai più anziani ai più giovani. Ma con alcune correzioni. Hanno la precedenza gli «estremamente fragili», che soffrono in forma grave di una serie di patologie e anche i disabili gravi, quelli riconosciuti dalla legge 104. Si apre poi all'immunizzazione nei luoghi di lavoro, con il doppio canale della vaccinazione diretta in azienda per le per grandi imprese, e negli ambulatori dell'Inail per quelle piccole, che non hanno il medico aziendale. La monodose resta un'opzione, anche se il fatto di applicarla solo ad AstraZeneca che già oggi ha il richiamo dopo tre mesi, rimanda di fatto il problema più avanti. Tra i potenziali vaccinatori sono stati arruolati gli odontoiatri, che si aggiungono agli specializzandi e ai medici di famiglia.».
Il Corriere intervista anche Luca Zaia, il Presidente della Regione Veneto, che insiste: l’Europa ha fallito sui vaccini, facciamo da soli.
«Chiusure nei weekend? Nessuno di noi fa salti di gioia. Ma dobbiamo essere onesti intellettualmente e dire che il liberi tutti significherebbe non avere posti negli ospedali per quelli che si ammalano». Luca Zaia vive la sfida sulla sua pelle: da una parte, sarebbe per limitare i movimenti il meno possibile. Dall'altra, dice, «sorge l'aspetto etico su cui un governatore non può transigere: abbiamo il dovere di far trovare un letto d'ospedale a tutti coloro che ne hanno bisogno». È fiducioso su un superamento dell'emergenza in tempi rapidi? «Lo sono. Per motivi stagionali ma soprattutto per i vaccini. Lei pensi che sui 30mila ospiti delle Rsa, noi siamo arrivati ad avere 3500 contagiati. Oggi, sono un centinaio: il vaccino funziona». Però, ora i numeri sono preoccupanti «È innegabile, ci troviamo di fronte a una nuova ondata che in alcune parti del Paese sta picchiando molto duro. Mi permetto di dire che noi la conosciamo, il 24 dicembre siamo stati i primi a isolare la variante inglese. Quando lo dicevamo, ci accusavano di cercare alibi. Oggi, quelli che ci attaccavano sono i più grandi sostenitori del pericolo varianti. Ma, dopo due mesi di calo, le nostre curve del contagio hanno ricominciato lentamente a crescere». È d'accordo sulla massima cautela anche con le scuole? «Io ho riaperto le scuole un mese dopo le altre regioni, il 1° febbraio con un mese di ritardo. E sono stato molto criticato. Devo constatare che i ragionamenti che facevo, oggi sono diventati di tutti: il virus ora colpisce anche i ragazzi e io ho già cominciato a chiudere alcuni distretti scolastici, al momento 6 su 26». Con i vaccini come va? «Noi presidenti siamo tutti motivati. Abbiamo macchine collaudate e nessun problema di spazi. Il punto sono i vaccini (…)». E come se ne esce? «Ci vuole più coraggio da parte dell'Italia. Che l'Europa sui vaccini abbia fallito è chiaro. E allora, lanciamo il cuore oltre l'ostacolo e attrezziamoci da soli. È una questione anche di prospettiva». Che cosa intende? «Il mio è un grido di allarme. Dopo la pandemia, il mondo correrà. Per alcuni, sarà un nuovo rinascimento. Ma sarà anche una conquista del West: se saremo gli ultimi a piantare la bandierina, saremo morti. I miei imprenditori, qualcosa come 160 miliardi di Pil, chiedono il vaccino non per andare in vacanza, ma per ricominciare ad andare all'estero. Il tema è: le comunità che per prime torneranno covid-free, saranno le prime a tornare sui mercati».
VACCINI 2. SOSPENDERE I BREVETTI?
Gino Strada lancia su Il Fatto una petizione in cui si chiede di liberalizzare i brevetti fino alla fine della pandemia. Il fondatore di Emergency rilancia una mobilitazione mondiale iniziata da India e Sudafrica.
«Gino Strada, fondatore di Emergency, è tra i promotori della petizione "Diritto alla Cura, nessun profitto sulla pandemia", una richiesta al governo italiano per sostenere la proposta in discussione all'Organizzazione Mondiale del Commercio: liberalizzare i brevetti dei vaccini anti-Covid fino a fine pandemia. Lo chiedono India e Sudafrica, che hanno ottenuto l'appoggio di altri 100 Paesi. (…) Perché crede sia necessario sospendere i brevetti sui vaccini? Di fronte a un fenomeno globale come questo, è meschino portare avanti la discriminazione tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Ci sono Stati africani che hanno ricevuto solo 50 fiale, mentre alcune nazioni ricche hanno comprato una quantità di dosi sufficiente a vaccinare la propria popolazione cinque volte. I brevetti cosa c'entrano? Bloccano l'aumento della produzione. Ovviamente quelli che ci sono vengono accaparrati dai Paesi più ricchi. Sospendendo i brevetti, molte aziende in possesso del know-how e delle tecnologia potrebbero invece mettersi a produrre e così aumenterebbe rapidamente la disponibilità di dosi. Lucia Aleotti, presidente di Menarini, ha detto che chi chiede la sospensione dei brevetti fa "populismo": "La carenza di vaccini non dipende dai brevetti", dice, "ma dalle limitate dimensioni e potenzialità degli impianti". Bella scusa. Le case farmaceutiche proprietarie dei brevetti oggi non sono in grado di produrre vaccini per tutti, l'unica soluzione è aprire alla possibilità che altri possano produrli, ma questo significa di fatto rinunciare ai brevetti. Senza i brevetti, pensa che le aziende farmaceutiche avrebbero comunque investito nella ricerca e sarebbero arrivate a produrre vaccini in meno di un anno? Il risultato dal punto di vista scientifico è stato eccezionale, ma non dimentichiamoci che una parte dei fondi con cui è stata realizzata la ricerca è pubblica. L'altra parte però è privata. Certo, qui però bisogna fare un appello alla coscienza di tutti. Se le aziende rinunciassero a fare profitti per alcuni mesi non andrebbero certo in rovina. Si chiede loro di sospendere i brevetti temporaneamente, fino a quando la pandemia verrà ridotta ai livelli di una normale influenza. Nella vostra petizione citate il caso dell'Hiv. Perché? Fino a prima della liberalizzazione dei brevetti sui farmaci retrovirali, se ne producevano pochi e ad altissimo prezzo, e questo ha provocato una quantità di morti impressionante. Solo con la liberalizzazione dei farmaci i prezzi si sono abbassati e si è riusciti a controllare l'infezione. Lo stesso vale per il Covid. Se i vaccini non verranno liberalizzati temo che ci saranno ancora tantissimi morti. Avete scritto una lettera a Draghi per chiedergli di appoggiare la proposta di India e Sudafrica. Risposta? Per ora nessuna. Speriamo che la prenda in considerazione».
NUOVO PATTO PER IL PUBBLICO IMPIEGO
Presi dall’emergenza Covid, si rischia di sottovalutare tutto il resto. Ieri Draghi ha voluto rompere di nuovo il silenzio per commentare la firma ad un accordo siglato fra Governo e sindacati sui dipendenti della Pubblica amministrazione. E’ un fatto importante, non solo per i dettagli del Contratto sottoscritto ma per lo spirito riformatore che porta con sé la vicenda. Protagonista il Ministro Renato Brunetta, colui che dodici anni fa, nello stesso ruolo, scatenò una grande offensiva contro i “furbetti”. Ecco come lo racconta Il Corriere:
«Sono passati 12 anni e quello che si è presentato martedì in Parlamento e ieri a Palazzo Chigi per l'accordo con Cgil, Cisl e Uil è un Brunetta molto diverso. Lo ha spiegato lui stesso presentando alle commissioni di Camera e Senato le sue linee programmatiche. «Per troppo tempo, e qui dobbiamo fare tutti un mea culpa, abbiamo visto la Pa come un costo - ha detto tra gli sguardi sorpresi di molti senatori e deputati -. Alzi la mano chi non ha mai pensato questo. Un pregiudizio durato troppo a lungo. Con la pandemia abbiamo visto che se non ci fossero stati gli infermieri, i medici, le forze dell'ordine, questo Paese si sarebbe disgregato. Dobbiamo ripartire da qui». E dunque si riparte, questa volta, tendendo la mano ai sindacati. Chiedendo loro un Patto per cogliere la straordinaria opportunità offerta dagli oltre 200 miliardi di risorse europee che l'Italia potrà ottenere presentando a Bruxelles il suo Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza). Un Patto del quale Brunetta va orgoglioso, perché è stato lui a immaginarlo, recuperando l'ispirazione che portò il governo Ciampi, nel 1993, in un momento altrettanto drammatico per l'Italia, a fare appello ai sindacati per concludere, il 3 luglio di quell'anno, l'accordo di politica dei redditi che aprì una stagione di tregua sociale e di moderazione salariale. (…) Draghi ha ammonito: «Il Patto è sicuramente importante ma è il primo passo, il molto, se non quasi tutto, resta da fare». I sindacati incassano finalmente il via al rinnovo del contratto 2019-21 per 3,2 milioni di dipendenti. Le trattative partiranno ad aprile ed entro la fine dell'anno l'intesa porterà ad aumenti medi di 107 euro. Ma le sfide da vincere sono altre. Per una amministrazione moderna bisogna svecchiare il pubblico impiego, dove oggi l'età media è di 50,7 anni. Brunetta ha parlato di nuove procedure per i concorsi (veloci e on line), di reclutamento delle professionalità tecniche e digitalizzate anche ricorrendo agli ordini professionali e della possibilità di esodi incentivati e volontari per chi è vicino alla pensione. Tutto questo, insieme con una drastica semplificazione delle procedure, comprese quelle sulla Via (Valutazione di impatto ambientale) e sul Superbonus del 110% dovrebbe arrivare con un decreto legge ad aprile. Ma niente più «grande riforma, quella l'ho già fatta l'altra volta».».
ENRICO LETTA VERSO IL NAZARENO
Ha chiesto del tempo per pensarci ma in molti sperano che Enrico Letta accetti l’investitura dei democratici e la segreteria del Partito. In genere sui giornali non riceve critiche. Oggi segnaliamo Paolo Mieli che sul Corriere crede che la sua segreteria possa essere un rafforzamento della politica in ripensamento e ristrutturazione nella tregua Draghi. Mentre Giuliano Ferrara sul Foglio plaude al Draghi del Pd, sottolineando che viene richiamato dall’Europa. Giovanna Vitale su Repubblica ci aggiorna sulle intenzioni dell’interessato:
«Chiede soltanto una cosa, Enrico Letta. D'esser messo nelle condizioni di fare il meglio, per il Pd e il Paese. Di non ritrovarsi, dopo aver fatto una scelta di vita tanto radicale, alla guida di un partito in guerra, pronto a impallinarlo alla prima curva. Perciò «avrò bisogno di 48ore per riflettere bene. E poi decidere», ha twittato ieri alle 11 del mattino. Premettendo però di avere «il Pd nel cuore». Davvero colpito dalla «quantità di messaggi di incoraggiamento che sto ricevendo » e che «toccano le corde più profonde», senza tuttavia nascondere quanto «questa inattesa accelerazione» lo abbia colto «alla sprovvista». Parole ripetute ai tanti con cui si è confrontato: gli ex ministri Provenzano e Amendola, suoi amici da molto tempo, il padre nobile Romano Prodi, che lui sente regolarmente. Due giorni necessari per capire quale schema prevarrà fra le varie correnti dem, alcune rimaste completamente spiazzate dal jolly calato a sorpresa dal trio Zingaretti- Franceschini-Orlando».
Sul Fatto Gad Lerner sottolinea come sia stata lungimirante la sua “dieta” dalla politica, dopo l’ “Enrico stai sereno” di Renzi.
«Enrico Letta è la dimostrazione vivente che un periodo di astinenza dal potere giova a chi crede nella politica democratica, sempre che sia portatore di idee valide. Sei anni fa si era dimesso da deputato, autoimponendosi una dieta o, se si preferisce, una pausa di riflessione culturale. Inutile dire che tale dieta sarebbe risultata altrettanto salutare agli onnivori capicorrente che oggi invocano il ritorno di Letta. Gli stessi che all'epoca gli preferirono Renzi e lo pugnalarono alle spalle. Nel frattempo costoro si sono curati prevalentemente di conservare il proprio ruolo nel governo e in Parlamento. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Come minimo, prima di accettare l'investitura, Letta dovrebbe chiedere che gli artefici di tale disastro introducano l'Assemblea nazionale del Pd officiando sul palco un pubblico autodafé».
Angelo Picariello su Avvenire ci aiuta a capire il personaggio e che cosa significherà, eventualmente, la sua segreteria:
«Legato da un rapporto di stima e reciproco rispetto con il segretario dimissionario Nicola Zingaretti, pur provenendo da due filoni di impegno politico marcatamente diversi, può vantare un'amicizia profonda con un ex leader del Pd come Pierluigi Bersani e un rapporto di sincera stima con Giuseppe Conte, al quale riconosce il merito di aver traghettato il M5s dentro il filone europeista che gli sta tanto a cuore. Ma nel contempo è legato da antico rapporto con Mario Draghi, che era direttore generale del Tesoro quando Letta è stato segretario generale del Comitato Euro che faceva capo allo stesso dicastero. A ben vedere non c'è altra personalità che possa vantare una biografia così 'inclusiva', fra tutte le anime che nel Pd si contendono la guida del partito. Immune fra l'altro, nessuno più di lui, dall'accusa di 'cripto renzismo' rinfacciata ad altri leader dell'area cattolica del partito. Lo «Stai sereno» rivoltogli nel momento di difficoltà del suo esecutivo è come un marchio di insincerità inflitto a chi lo proferì a suo tempo. Letta ha definito «ontologica» la differenza di visione politica con il suo successore a Palazzo Chigi, tuttavia - a parte quella brutta pagina del passaggio della campanella senza guardarsi in faccia - ha sempre cercato di non accreditare quella con Renzi come questione personale. Ci ha tenuto a suo tempo ad ufficializzare il suo 'sì' al referendum renziano e più di recente a far arrivare la sua solidarietà per le minacce arrivate all'ex segretario del Pd attraverso una busta con proiettili. Un po' uomo di Stato, un po' uomo di parte, Enrico Letta. Ma anche uomo di studi, come ai tempi dell'Arel di Beniamino Andreatta. In questi anni non gli sono mancate soddisfazioni, avendo portato la école Sciences Po Paris , salita dal 13esimo al secondo posto nel rating degli istituti di studi politici internazionali, dopo Harvard. La tentazione di tornare alla sua vera passione, la politica, ora è forte, ma non per fare il traghettatore. Se torna non lo farà solo per tre mesi, per preparare il congresso. «Se hanno davvero bisogno di me posso pensarci», ha assicurato a Paolo Gentiloni. E lo ha ripetuto a Dario Franceschini, il 'gemello’».
CONTROVENTO SUL WEB
Se i democratici avranno un nuovo leader forte come Enrico Letta, i grillini si preparano a investire della leadership Giuseppe Conte.Intanto nel mondo grillino ieri sera, via Web, Davide Casaleggio ha presentato il suo manifesto Controvento. Viene intervistato sul Corriere:
«Un manifesto «Controvento» che parla di «regole non scritte per gli amici», di «condizioni di trasparenza» per attivare il voto su Rousseau. Un manifesto che ha scosso il Movimento al punto che alcuni big si spingono a dire: «Ora è guerra». Ma Davide Casaleggio tira dritto.Ha lanciato il suo manifesto: nel M5S lo vedono come un passo politico, lei nega. «Credo che ognuno veda quello che auspica. Nella maggior parte dei casi sono suggestioni. La realtà è che negli anni abbiamo perfezionato molto la parte tecnica di Rousseau arrivando a gestire il record mondiale di un voto in una singola giornata. È tuttavia necessario un passo successivo sul metodo. Questo manifesto indica alcuni punti che discuteremo in modo aperto sui quali è necessario lavorare per il miglioramento futuro». (…) Si parla molto dei rapporti tra Rousseau e M5S. La piattaforma è in difficoltà economiche? I parlamentari salderanno il debito? «Esiste un debito accumulato da parte del Movimento 5 Stelle che l'Associazione Rousseau ha anticipato garantendo sempre il supporto in tutti gli ambiti organizzativi: dal supporto alle elezioni locali, alla gestione legale, alla scuola di formazione e molto altro. Sono certo che verrà saldato a breve». Rousseau e il M5S continueranno a seguire un percorso comune? O c'è il rischio di uno strappo? «Se ci sarà un progetto condiviso come in questi undici anni, ci sarà ancora un lungo percorso insieme». Molti esponenti M5S si lamentano della sua presenza. I parlamentari vogliono che l'azione di Rousseau sia limitata a quella di un semplice service. «Le frasi anonime non fanno bene a nessuno. Come già ribadito anche dagli iscritti credo sia più opportuno pensare ad un accordo di partnership, riconoscendo l'importante ruolo che entrambe le associazioni hanno avuto nel successo pentastellato». (…) Ha parlato con Conte? Cosa pensa del suo ingresso nei 5 Stelle? «Credo che il Movimento 5 Stelle debba continuare ad essere inclusivo verso tutte le esperienze e persone di valore, e Conte è sicuramente una di queste. Spero che il metodo di partecipazione dal basso venga mantenuto come caratteristica distintiva del Movimento».
ESEMPI CIVILI E VITE PER GLI ALTRI
A proposito di partecipazione dal basso e di società civile, il Corriere della Sera intervista Ernesto Olivero, del Sermig di Torino, animatore degli Arsenali della pace. Un simbolo di quel mondo che vive di impegno civile, dedicato agli altri.
«Come parlano gli Arsenali della Pace? «In questo momento terribile a livello mondiale viviamo collettivamente un'esperienza mai fatta da nessuno. Gli Arsenali parlano la lingua dell'accoglienza, del rispetto della persona, la lingua della fraternità verso tutti. La vita semplice e gioiosa di tanti momenti belli e le lacrime di chi piange. Centomila morti in Italia in un anno non si possono dimenticare e le loro famiglie, i loro amici non li possiamo dimenticare». Lei conosce la sofferenza. «So quello che provoca. Sono cittadino onorario di Bergamo e sono stato lì, con il Presidente Mattarella, nel giugno scorso, a rendere omaggio a tutte le vittime del Covid. Una delle tante occasioni in cui ho capito che non si può dimenticare». La sua storia parla per lei. Cosa si sente di dire ai potenti? «Mi chiedo: i morti di fame nel mondo non commuovono più nessuno? I bambini che non riescono più a vivere ci lasciano imperturbabili? Ho scritto una lettera alla coscienza che nei prossimi giorni farò avere a tutte le autorità del Paese. In questo momento triste possiamo fare scelte importanti». Non sarà facile, visto le condizioni in cui siamo. «Riporto tutto alla mia esperienza. L'Arsenale della Pace è cresciuto nella sua visione di fraternità, di responsabilità civile, di convivenza tra tutti, di condivisione di idee e di stile di vita, grazie alla frequentazione della Bibbia che ci ha sempre nutriti, al rapporto con Dio. E grazie a tanti amici che ci hanno dato il meglio delle loro competenze spesso senza comparire. E noi dobbiamo riconoscere gli esperti e accogliere i loro doni. Se il Sermig fosse l'Italia… ». L'«amico» sarebbe Draghi? «A dicembre dell'anno scorso è venuto al Sermig. Non ci conoscevamo, non ha voluto apparire. È rimasto di lato, in silenzio, in ascolto. Un atteggiamento che per noi è oro. Parla da solo. Con i fatti». È soddisfatto dunque dell'arrivo di Draghi? «Credo che sia stato un fatto positivo anche per i partiti nei quali è emersa la saggezza di fare come ha chiesto il presidente della Repubblica nel suo profondo e forte discorso in cui ha motivato la scelta di Draghi». Nonostante lei veda ogni giorno gli ultimi, mi pare ottimista. «Nella lettera alla coscienza che ho scritto, dico che è possibile uscire da questa crisi meglio di come siamo entrati. Non dobbiamo arrenderci alla disperazione ma accogliere la saggezza. In questo momento drammatico, tutti siamo chiamati a fare scelte importanti».
Oggi pomeriggio nella Basilica di Sant’Ambrogio a Milano confratelli e amici daranno l’ultimo saluto a don Antonio Anastasio, un prete della parrocchia San Carlo alla Ca Granda, zona Niguarda, morto di Covid dopo una lunga tribolazione ospedaliera. Un prete che ha lasciato un segno fra molte persone, come ha ricordato il presidente di Cl don Carrón. In queste settimane per lui hanno pregato ogni sera, in un rosario via zoom centinaia di persone. Oggi La Verità pubblica l’anticipazione di un libro della San Paolo, Covid 19 Preti in prima linea, che racconta la storia di don Fausto Resmini, per 18 anni attivo nel carcere di Bergamo.
«Dietro le sbarre trascorreva la maggior parte della giornata, al punto da spingere gli amici a scherzare con lui chiamandolo ergastolano. Ma di tutto ciò che accadeva tra le mura e delle confidenze che riceveva, don Fausto non faceva parola con nessuno. Anche quando i giornalisti lo incalzavano per avere indiscrezioni sui casi di cronaca più controversi, lui che tra gli altri era confessore di Massimo Bossetti. «Non che non fosse interessato ai reati che erano stati commessi» precisa don Dario (Acquaroli, il suo più stretto collaboratore, ndr), «ma lui incontrava la persona perché il perdono più difficile è quello che uno dà a sé stesso. E se non si aiuta la persona a fare un percorso di questo tipo, diventa difficile che sia in grado di chiedere perdono, di riconoscere la sua colpa e di attivare il cammino di cambiamento e di conversione che la porterà a rientrare in società». A chi gli domandava se fosse imbarazzato nel dare i sacramenti a un assassino, rispondeva con schiettezza: «Il prete è l'espressione massima dell'incontro libero con l'Altro. Quando avviene questo incontro, bisogna riconoscere innanzitutto che solo Dio sa leggere il cuore dell'uomo. In questi momenti, so che posso aver contro tutta la società, ma che ho davanti un uomo, solo un uomo che soffre. Quell'uomo chiede a me conto di Dio e io non glielo posso negare». Don Fausto metteva la persona al centro di qualsiasi discorso educativo, riabilitativo, di reinserimento sociale. Condividendo la sofferenza e il dramma interiore, cercava di accompagnare i detenuti a prendere coscienza dei propri errori e delle ripercussioni sugli altri, in modo che le esperienze negative potessero trasformarsi in occasioni di rinascita».
INFELICITÀ E “PASSIONI TRISTI” DA PANDEMIA
Non si tematizza spesso il disagio psichico che la pandemia ha creato e sta creando. Effetto collaterale non così secondario, se dalle statistiche emergono numeri senza precedenti, soprattutto sulle difficoltà di giovani e giovanissimi. Avvenire di oggi ospita un intervento della sociologa Carla Collicelli.
«Un'analisi condotta su un campione nazionale tra i 18 e i 75 anni da un gruppo di psichiatri dell'Università Cattolica di Roma, ha evidenziato che se il 62% degli italiani ha affrontato il confinamento senza subire significativi contraccolpi a livello psicologico, il 38% ha registrato chiari segnali di disagio, e che per metà si è trattato di un disagio moderato ma per un'altra metà (quasi un italiano su 5) di un disagio severo. Ciò si rispecchia nelle evidenze raccolte dal Tracciato emotivo del Radar SWG del 21 febbraio 2021, secondo le quali continua ad aumentare tra gli italiani la percezione dell'incertezza, che sale dal 50% del dicembre 2020 al 57%, e che risulta l'emozione di gran lunga maggioritaria, seguita dal 30% della speranza, dal 28% della tristezza, dal 26% della rabbia, dal 24% della paura. Un simile quadro emozionale, fatto di emozioni tutte negative tranne la speranza e che secondo i dati del Radar trova riscontro nella paura di contrarre il virus (per il 60% del campione) e nella preoccupazione generale per il virus (37%, contro il 15% di un anno fa), richiama alla memoria le 'passioni tristi', tematizzate come tonalità prevalente nei giovani con disagio psichico qualche anno fa. Ed è da ricollegare, come molti osservatori hanno suggerito, non solo al rischio virale ma anche, ed in qualche caso soprattutto, alla condizione di isolamento e solitudine che si è determinata a seguito delle misure di contenimento del contagio, e che ha creato in molti casi un vuoto nella vita delle persone. Il tema è stato sollevato soprattutto con riferimento ai giovani ed ai bambini, ma riguarda sicuramente individui, famiglie e comunità di ogni tipo e struttura generazionale, e molte sono le persone che si sono sentite spaesate e indifese di fronte a quello che per qualcuno è un vero 'caos interiore', sia un caos 'emozionale' rispetto alla sofferenza psichica e relazionale, sia un caos 'della razionalità' rispetto ai problemi esistenziali, economici e valoriali che si acuiscono nella crisi. (…) Lo sforzo enorme prodotto da molti insegnanti in termini di didattica a distanza è encomiabile e deve aiutarci a capire quanto sia importante da qui in poi un uso intelligente delle tecnologie informatiche. Ma, al di là della necessaria prudenza per quanto riguarda i contatti fisici in una crisi pandemica, non va dimenticato che la vita umana è fatta di relazioni e che le relazioni sono la linfa della crescita, dello sviluppo e dell'equilibrio psico-fisico delle persone e delle comunità, ed hanno bisogno di condivisione, scambio ravvicinato e dialogo profondo. Occorre quindi guardare al complesso dei fenomeni legati al disagio psichico, ed in particolare di quello giovanile, e soprattutto alle iniziative di prevenzione e di arginamento degli effetti più problematici del disagio, a cominciare dall'impegno per il sostegno di ambiti di vita e di formazione nei quali sviluppare relazioni sociali significative, dialogo, condivisione, mutuo aiuto e solidarietà».
Vittorio Macioce sul Giornale prende spunto dall’ultima statistica dell’Istat sulle aspettative di vita. Il tema è sempre quello di una depressione generalizzata.
«Ci vorrebbe un'iniezione di ottimismo, ma serve coraggio. Chissà se esiste un vaccino contro la frustrazione? È qualcosa che non si produce in laboratorio. La statistica ti dice quello che qualche volta percepisci d'istinto. L'ansia, per esempio. L'ansia cresce tra i giovani e non è soltanto inesperienza. Non passa con l'età. È qualcosa che stringe la gola, ti blocca, ti fa vedere ogni cosa troppo grande, troppo pesante. Ti suggerisce di rannicchiarti sotto le coperte, perché fuori c'è un mondo freddo e incerto che ha solo fretta di giudicarti. L'ansia che è difficile da spiegare a chi non la prova e ti fa sentire inadeguato o inadeguata. L'ansia che è democratica, perché non fa differenza tra belli e brutti, arguti o un po' più lenti. L'ansia che da troppo tempo è una promessa di infelicità».