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Zona rossa per vaccinarsi
Il Papa rientra a Roma e trova un'Italia sotto i colpi dell'epidemia. Oggi si decide se serve un lockdown per affrettare la campagna vaccinale. Zinga si difende in tv. Grillo e Conte si vedono.
Papa Francesco rientra oggi a Roma alla fine di un viaggio che resterà impresso nella memoria. Ha realizzato quella visita che anche il suo predecessore, San Giovanni Paolo II, aveva sognato e al quale non era stata permessa. Wojtyla si oppose alla guerra dell’Occidente in Irak, “salvando la Chiesa” in un passaggio decisivo della storia, oggi Francesco è tornato là, chiedendo e invocando il perdono per tutte le tragedie e le distruzioni di questi trent’anni. Anche se la Santa Sede ha ben poco da farsi perdonare. Eppure il Papa ha così riportato l’attenzione del mondo su una terra dimenticata, allargando alla confessione sciita il dialogo con l’Islam. Bergoglio rientra in un’Italia angosciata dall’ultima esplosione del virus, fra i giovani e non solo. Per la prima volta oggi si affaccia l’ipotesi di un lockdown che potrebbe facilitare la distribuzione dei vaccini. Una zona rossa la cui filosofia non sarebbe più solo quella difensiva dello stare in casa ma quella di aggredire i contagi con la vaccinazione di massa. Oggi ennesimo vertice in cui sarà presa una decisione. Intanto continua il disordine della campagna vaccinale nelle varie regioni: in Lombardia finalmente si comincia a vaccinare gli insegnanti, nonostante i mille intoppi di un sistema di prenotazione non proprio perfetto. Forse è venuto il momento di mettere intorno ad un computer (i tavoli non usano più) i Presidenti di Regione e decidere le priorità nazionali su chi debba essere vaccinato per primo. Sulla politica si segnalano l’intervista di Zingaretti con la D’Urso e lo scoop de Il Fatto sul summit Conte-Grillo. Oggi è l’8 marzo, auguri! La Festa della donna dovrebbe portare in dono un videomessaggio del Presidente del Consiglio. Potrebbe essere la prima uscita pubblica di Draghi dopo la lettura della lista dei Ministri al Quirinale. Sul fronte delle polemiche, non si placano quelle su Renzi saudita, mentre pare che il pentito della Meloni avesse già ritrattato in un altro verbale. Sulle consulenze Mc Kinsey, la novità è che il Governo assumerà ingegneri per il Recovery plan. Ecco comunque le prime dei quotidiani.
LE PRIME PAGINE
Titoli ancora in gran parte centrati sull’emergenza Covid e il piano vaccini. Il Corriere della Sera in coda: Spinta per vaccinare tutti. Per la Repubblica il terreno giusto per un’accelerazione della vaccinazione è una zona rossa generalizzata: Un lockdown per ripartire. Quotidiano nazionale cerca di trovare ottimismo nei dati: Boom di ricoveri, ma il picco è vicino. Il Mattino sostiene che manca il personale: Speranza: sprint sui vaccini. Ma mancano gli infermieri. Sulla stessa linea Il Messaggero: «Ora misure per assumere». Libero vorrebbe liberalizzare l’acquisto delle fiale: Lasciate che i privati comprino i vaccini. Mentre Il Fatto sottolinea che la zona rossa sta diventano una realtà di fatto: Scuola, a casa 9 ragazzi su 10. È “Lombardia da lockdown”. Il Sole 24 Ore per una volta si dedica ai numeri dell’epidemia e al loro riflesso sull’aspettativa di vita, invece che a quelli dell’economia: Speranza di vita ed effetto Covid: persi 1,4 anni, 5 a Cremona. Vanno invece su un altro tema, il processo a Salvini, sia il Giornale I verbali di Lamorgese che inchiodano le ong, sia La Verità: PROCESSO A SALVINI GIÀ FINITO. LAMORGESE TESTIMONIA A FAVORE. Chiudiamo sull’economia con un titolo de La Stampa di Torino che torna ad attaccare una misura del governo Conte 2: Retromarcia sul cashback. Tre miliardi in più ai poveri. Vedremo che cosa ci sarà davvero nel Decreto sostegno che dovrebbe arrivare nei prossimi giorni.
IL PAPA FRA LE MACERIE DI MOSUL
Si conclude oggi il viaggio del Papa, un viaggio che ha avuto ieri mattina un momento anche iconograficamente potente quando Francesco si è recato a Mosul nella piazza delle 4 chiese distrutte e che l’Isis aveva scelto simbolicamente come suo quartier generale. Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera racconta fra i cristiani iracheni questa “tappa del dolore”:
«Ieri la sua tappa è stata il pellegrinaggio del dolore: Mosul, l'ex capitale del Califfato; Qaraqosh, uno dei villaggi devastati; Erbil, la città curda rifugio dei cristiani in fuga. «Ci siamo salvati per il rotto della cuffia. La sera dell'8 agosto 2014 i militari curdi hanno abbandonato le prime linee senza avvisarci. L'Isis aveva sfondato. Uno dei soldati cristiani passò a dirci trafelato che avevamo meno di due ore di tempo. Dopodiché Qaraqosh sarebbe stata catturata dai tagliagole», ricorda Rafet Daho, 58enne venditore di spezie, che due anni fa è tornato trovando la sua abitazione completamente saccheggiata e bruciata. La sua è la storia di tutti: centinaia di migliaia di famiglie hanno dovuto fuggire, terrorizzate da un'orda di fanatici decisi a derubarli e persino ucciderli in nome di Allah. In questa luce, le parole di Francesco ricordano molto da vicino quelle «lettere» degli Apostoli alle comunità dei «confratelli perseguitati» che tanto fortemente segnarono i primi anni della storia della Chiesa. Di fronte a vicende così drammatiche passano in secondo piano le preoccupazioni di chi in Occidente mette in guardia contro il rischio pandemia o di attentati. In oltre due settimane non abbiamo trovato una sola critica, o anche solo velata preoccupazione, in questo senso tra i cristiani locali. Tutto il contrario. «Grazie Papa, grazie Francesco per il tuo coraggio, per la generosità e per l'attenzione dedicata alle nostre comunità che soffrono», cantano in ringraziamento».
Il Quotidiano Nazionale ha intervistato il cardinale di Bologna Matteo Zuppi:
«Dopo l'intesa sulla fratellanza umana con i sunniti, la distensione con gli sciiti di Al Sistani: il cerchio del dialogo con l'islam si chiude? «Credo ci voglia ancora molto altro, è un grande cammino, ma Francesco ci sta incoraggiando nel vincere la tentazione della violenza e dell'affermarsi dell'uno sull'altro». Come mai tante resistenze al dialogo con l'Islam? «Quando s' iniziano a costruire ponti, in tanti si chiedono: 'Ma a che servono questi piloni?'. Paura e ignoranza sono pericolosi». Manca la conoscenza reciproca? «Molti ancora credono che l'Islam sia un monolite, nonostante la sua varietà interna». Servono più occasioni d'incontro a livello di base? «Sì, scarseggiano. Io suggerisco occasioni di lettura comune della Costituzione, visite delle parrocchie alle moschee e viceversa, iniziative conviviali per superare le diffidenze».»
INCUBO COVID, CAMBIA LA FILOSOFIA DELLA ZONA ROSSA
Veniamo all’incubo Covid. Su Repubblica Tommaso Ciriaco e Giuliano Foschini provano a spiegare il cambio di paradigma che sarebbe implicito in un nuovo lockdown nazionale.
«La parola "zona rossa" per tutta l'Italia, infatti, non è più un tabù. Se dovesse essere necessario un lockdown per vaccinare più in fretta, ragionano fonti di governo, «siamo pronti». Magari lasciando fuori dalle restrizioni alcune Regioni con tassi di contagio da zona bianca. Anche di questo si discuterà nella riunione straordinaria che si terrà oggi tra i ministri Roberto Speranza e Mariastella Gelmini, il capo del Cts Agostino Miozzo e il commissario per l'emergenza, Giuseppe Figliuolo. Al termine della quale il presidente del Consiglio, Mario Draghi, farà un punto con la cabina di regia di maggioranza per decidere il da farsi. Sono passi delicati, quelli che attendono l'esecutivo. E i segnali che la stretta sia imminente non mancano. Il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, ha usato ieri parole molto chiare: «Nelle ultime 24 ore abbiamo registrato oltre 20mila nuovi casi, con un tasso di positività che sale al 7,6%. Servono misure più rigide». È una linea condivisa anche dal ministro della Salute, Roberto Speranza. E da buona parte del Pd. A frenare, ovviamente, è il centrodestra, sponda Matteo Salvini. Che ancora ieri sera diceva: «Lockdown? Spero di no». La verità è che in queste ore si fa spazio un ribaltamento della filosofia che guida il governo. Cambia in particolare la prospettiva in cui inquadrare un possibile lockdown: non soltanto una misura di contenimento di fronte a una situazione epidemiologica comunque delicatissima, ma un vero e proprio investimento per la campagna di vaccinazione. È da sempre la priorità del premier Draghi, in linea con l'approccio europeo che può sintetizzarsi così: "rigore assoluto" per favorire la campagna di immunizzazione.».
VACCINI 1. TOCCA AGLI INSEGNANTI LOMBARDI
Lorenzo Salvia fa il punto sulla campagna vaccinale nelle varie Regioni, che a volte appare disastrosamente diversa e incoerente:
«Oggi iniziano in Lombardia le vaccinazioni del personale scolastico con i primi 4.833 prenotati. Le adesioni hanno superato quota 130 mila della platea dei 200 mila che lavorano nelle scuole statali, anche se non residenti nella regione. Le vaccinazioni continueranno per almeno cinque settimane dato che a breve, dopo le polemiche dei sindacati, la lista verrà integrata con gli elenchi di chi lavora nelle paritarie, nei nidi e nelle scuole dell'infanzia comunali. Chi si registra riceve una comunicazione via sms con data e luogo dell'appuntamento. Solo che nei giorni scorsi a molti non era arrivato niente. Panico. Nervosismo. Ansia di essere scavalcati. Lentezze del provider già riscontrate recentemente in occasione della campagna degli over 80, al punto da indurre la stessa Regione a virare su un altro portale, quello offerto da Poste Italiane, per gestire da aprile la campagna di massa che avrà altri volumi. Il Lazio è all'85,4%. A prima vista può sembrare un paradosso ma il rischio è l'eccesso di velocità. «Le dosi - dice l'assessore alla Sanità Alessio D'Amato - cominciano a scarseggiare. Siamo al limite delle scorte per garantire le prenotazioni già effettuate». Per questo la Regione punta sulla produzione nazionale dello Sputnik V, il vaccino russo che però non è stato ancora autorizzato dall'Agenzia europea dei medicinali. In media si procede al ritmo di 18 mila somministrazioni al giorno. Dopo gli operatori della sanità e gli ultraottantenni, le vaccinazioni sono cominciate anche per forze dell'ordine, personale scolastico e per trapiantati, dializzati a pazienti oncologici. Il Veneto ha utilizzato finora il 75,4% delle dosi consegnate, adesso punta a vaccinare tutti i ricoverati (non per Covid) al momento delle dimissioni. E con Michele Mongillo, responsabile dell'Unità regionale di Prevenzione e Sanità pubblica della regione, propone di cambiare le priorità: «Dovremmo dare la precedenza alle persone di 45 anni, le più colpite dal virus, e ai 75enni, la classe maggiormente presente in terapia intensiva. Ma anche ai giovani tra cui l'infezione circola rapidamente». Il Piemonte è all'88%, con un ritmo di 10 mila somministrazioni al giorno. A Torino si discute sull'ipotesi di riaprire l'ospedale da campo del Valentino, per evitare la saturazione delle strutture sanitarie. (…) Anche in Campania è guerra tra categorie professionali. I primi segnali sono arrivati dall'insofferenza degli avvocati, che vorrebbero essere considerati categoria a rischio, visto che frequentano i tribunali, ed essere convocati prima dei professori universitari. Se è necessario vaccinare in fretta il personale scolastico per consentire agli studenti di tornare in classe, sostengono gli avvocati, la stessa urgenza non dovrebbe riguardare i docenti universitari, dal momento che la riapertura degli atenei non è impellente come quella delle scuole.».
VACCINI 2. “UN SOLO MESE PER USCIRNE”
Il Corriere intervista una studiosa americana che è stata consulente di Trump negli scorsi mesi, Deborah Birx, che sostiene: abbiamo solo un mese per bloccare davvero la pandemia ed impedire che diventi “endemica”:
«È importante che la gente capisca che ci troviamo, globalmente, in uno dei momenti più pericolosi. In Sudafrica, alcune città hanno avuto dal 30 al 50% della popolazione infettata ed erano probabilmente al 25% quando si è sviluppata la variante sudafricana. Ora negli Stati Uniti siamo intorno al 25-30% della popolazione infettata (ed è stato vaccinato con due dosi il 9% ndr ). In tutto il mondo, stiamo mettendo il virus sotto pressione e il rischio è che "sfugga" proprio quando c'è speranza. Mentre le persone si immunizzano attraverso le vaccinazioni o il contagio, se non si raggiunge rapidamente il 75-80% di immunità, si pongono le basi per una "fuga" attraverso le mutazioni. Perciò credo che le prossime quattro settimane siano un periodo molto vulnerabile». Deborah Birx è stata la coordinatrice della task force sul coronavirus sotto Donald Trump. (…) «Questi virus sono elusivi, continuano a evolversi. C'è un gruppo di scienziati che crede che il virus possa diventare endemico. Per il momento io sono ottimista: guardando la curva, vedo un declino più rapido che in passato. Anche in Sudafrica e in Europa nonostante la variante inglese». Che significa endemico? «I virus diventano endemici quando c'è una costante disponibilità di ospiti suscettibili ad essi perché il virus cambia per superare l'immunità naturale o indotta dal vaccino oppure perché numeri significativi di persone non hanno immunità né naturale né indotta dal vaccino. L'Italia e la maggior parte del mondo non hanno un numero di individui suscettibili al virus immunizzati tale da prevenire la diffusione nella comunità» (…) «Dobbiamo avere vaccini producibili in massa. I vaccini mRNA (Pfizer, Moderna ndr ) non possono essere usati per tutti: puoi produrne milioni, non miliardi. I vaccini a vettore virale (J&J, AstraZeneca, Sputnik ndr ) o a subunità proteica (non ancora approvati ndr ) possono essere prodotti, soprattutto questi ultimi, in miliardi di dosi. Dovremmo lavorare per spostare tutte le capacità produttive globali (se non servono per altri vaccini essenziali) su un vaccino da poter usare in massa. Non è una questione finanziaria ma di volontà politica. La scelta di quali vaccini adottare non riguarda solo la protezione attuale della popolazione, ma anche quella futura. Indipendentemente dal vaccino in uso, ci sarà un bisogno globale di un tipo di booster (dose di richiamo ndr ) in futuro, ed è per questo che la Fondazione Gates sta lavorando per aumentare l'accesso non solo ai vaccini a vettore, ma anche a quelli a subunità proteica, che possano essere usati per nuove varianti in qualunque parte del mondo»
ZINGARETTI MAI DETTO: “O CONTE O MORTE”
Lo avevano criticato perché aveva difeso la trasmissione Live Non è la D’Urso, che frequentava come ospite. E allora Nicola Zingaretti si è preso la soddisfazione di tornare in quel programma per sfottere un po’ i radical chic e chiarire che le sue dimissioni sono “irrevocabili”. La cronaca di Alessandro Trocino sul Corriere.
«Sì, c'è una cosa che mi ha dato fastidio in questi giorni ed è questa: noi tutti insieme abbiamo voluto il governo Conte, che ha riportato l'Italia in Europa. Noi lo abbiamo voluto tutti, io ci ho messo la faccia. Poi quando non è andato in porto, ci siamo girati e non c'era più nessuno. E ci hanno accusato di avere detto "o Conte o morte", cosa che io non ho mai detto». Nicola Zingaretti sceglie Barbara D'Urso e il suo programma Live su Canale 5 per spiegare le ragioni delle dimissioni e togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Sorride, prima di tutto, delle polemiche nate intorno al tweet in solidarietà alla D'Urso: «Il populismo si combatte con la politica popolare, non con la puzza sotto il naso. Mi è sembrato naturale fare i complimenti a una trasmissione che chiama i maggiori leader a confrontarsi. Ma si è scatenato il putiferio e questa è una cosa da snob. Se c'è qualcuno che ama la politica dei salotti, si accomodi». Ma in quelle polemiche Zingaretti ha visto anche un segnale politico: «Quell'aggressione che abbiamo avuto era un segnale che qualcosa non andava, che qualcuno voleva criticare a prescindere. Sicuramente qualcosa di strano c'era». Le dimissioni sono arrivate per altri motivi, ma il segnale era anche quello: «Ho voluto dare una scossa quando ho percepito che il Pd rischiava di implodere nelle dinamiche interne. Il mio è stato un atto di amore». (…) Alla D'Urso che chiede se le dimissioni siano irrevocabili, risponde: «Sì, anche se non scompaio. Combatterò con le mie idee. Il Pd non è il partito di un leader, abbiamo tante energie. Spero che ora il gruppo dirigente sia più vicino alla vita degli italiani. Io penso che tutta la politica deve rinnovarsi ed essere più vicina alle persone. In particolare il Pd».
GRILLO- CONTE, VERTICE NELLA CASA AL MARE
Scoop de Il Fatto che pubblica una foto tipo quelle di Novella 2000: Giuseppe Conte e Beppe Grillo in spiaggia, ripresi da lontano. Il giornale racconta il summit fra i due.
«Beppe Grillo e Giuseppe Conte si sono incontrati e hanno avuto un lungo colloquio nella villa sul mare del fondatore a Marina di Bibbona (Livorno), dove nel settembre 2019 lo stato maggiore del M5S decise di far nascere il governo giallorosa. La riunione a villa Corallina con i big per affidare a Conte la leadership si sarebbe dovuta tenere lo scorso fine settimana, ma una fuga di notizie aveva fatto infuriare il Garante, che aveva spostato l'incontro all'Hotel Forum di Roma. Ma Grillo voleva un faccia a faccia per studiare insieme all'ex premier le prossime mosse e ieri l'ha invitato a pranzo nella sua casa nel Livornese, lontano da telecamere e occhi indiscreti (ma non da un nostro lettore, che ci ha inviato una foto dal cellulare). Dopo pranzo, Grillo e Conte si sono seduti sulla spiaggia adiacente la villa e hanno parlato di tutto per tre ore: di come rifondare il Movimento, del nuovo simbolo che conterrà il nome dell'ex premier e la data-traguardo del 2050, del rapporto con Davide Casaleggio e la piattaforma Rousseau, della linea politica del futuro M5S , dei primi passi del governo Draghi. (…) Al centro del colloquio non poteva mancare la spinosa questione del rapporto tra il M5S e Davide Casaleggio, patron della piattaforma Rousseau, che potrebbe finire a colpi di carte bollate dopo la richiesta di 450 mila euro di arretrati ai parlamentari. Non solo: questa settimana Casaleggio presenterà il suo manifesto che sarebbe l'addio definitivo al M5S . Grillo, anche per motivi affettivi, sta provando a mediare fra Casaleggio e i parlamentari che vorrebbero troncare ogni rapporto con lui. Ma non è facile sia perché la piattaforma Rousseau è un elemento essenziale, anche da statuto, per le votazioni degli iscritti sia perché la rottura di molti big del Movimento con Casaleggio è ormai consumata. Eppure regolare i rapporti tra il M5S e Rousseau sarà fondamentale perché, una volta che tutto sarà più chiaro, Conte potrà presentare il suo piano per rifondare il Movimento 5Stelle».
MC KINSEY, RITRATTA IL PENTITO DELLA MELONI E RENZI ANCORA SAUDITA
Il punto sui tre scandali di cui la stampa si occupa da qualche tempo. Almeno due, quelli che riguardano Meloni e Draghi, sembrano sulla via dell’archiviazione. Federico Fubini sul Corriere della Sera risponde, quasi en passant, alle critiche di Marco Travaglio a proposito delle consulenze date dal Governo alle multinazionali per la stesura del Recovery plan. E rivela: ci saranno tecnici da assumere.
«Il Recovery plan italiano sta entrando nella fase decisiva di preparazione. Per il governo di Mario Draghi, significa superare in tempi record la tappa più difficile per un Paese dall'amministrazione pubblica notoriamente sfilacciata: avere le persone per attuarlo. Non però quelle di McKinsey. Nei corridoi del ministero dell'Economia ha suscitato un certo stupore l'attenzione sul contratto da 25 mila euro alla società di consulenza. I suoi esperti sono chiamati solo a ricontrollare il piano per Next Generation Eu in base agli standard di riferimento dei progetti degli altri Paesi e confezionare il prodotto finale con la grafica e parti di testo accattivanti, prima dell'invio a Bruxelles. Ma tutti nei ministeri coinvolti capiscono che la partita vera è altrove. (…) il governo ha bisogno di assumere migliaia ingegneri, informatici, geologi e altri professionisti entro sei mesi. La fase esecutiva del Recovery incombe e c'è l'intera struttura tecnica dello Stato da ricostruire, senza compromessi sulla qualità dei profili. Di qui il disegno di innovazione nel reclutamento dello Stato, confermato al «Corriere» da una mezza dozzina di persone al corrente degli sviluppi. Quel progetto sarebbe un tassello della riforma dell'amministrazione posta dalla Commissione Ue come condizione all'Italia per poter ricevere i bonifici da Bruxelles. Nel governo si sta dunque studiando un meccanismo di reclutamento rapido di migliaia di esperti, con remunerazioni di mercato e inizialmente con contratti a tempo. Niente concorsi tradizionali. Per ingegneri o geologi il ministero della Pubblica amministrazione potrebbe appoggiarsi agli albi professionali di chi ha superato l'esame di Stato. Non conterebbero i punteggi ottenuti nei test di accesso agli ordini, ma quella selezione prima farebbe da filtro per l'iscrizione a concorsi speciali. Quanto ai professionisti senza albo - attivi in settori nati dopo l'epoca d'oro di ordini fondati come enti pubblici negli anni '30 - si pensa a altri metodi: individuazione dei profili tramite i sistemi di ricerca tipici delle grandi imprese, incluso il ricorso all'intelligenza artificiale. Chi sarà assunto per il Recovery, potrà esserlo solo a tempo proprio perché i fondi finiscono nel 2026 e le regole europee non permettono contratti permanenti».
Il Giornale, con Massimo Malpica, sostiene che sono cadute le accuse contro la Meloni, perché il pentito in questione avrebbe già corretto la prima versione:
«Ieri, però, il quotidiano pontino Latina Oggi in un articolo dedicato alla questione racconta la correzione di tiro di quello che definisce un «pentito a orologeria», rivelando che Riccardo in un altro verbale, risalente al 7 dicembre dello stesso anno, cambiò versione e non di poco. Ricostruzione che in serata Repubblica smentisce, tornando ad accusare la leader Fdi. «Voglio precisare una cosa», spiega il pentito al pm Barbara Zuin che lo sta interrogando. «Ho riferito prosegue - del pagamento di 35.000 euro che ho ricevuto da un signore per la campagna elettorale del 2013 in favore di Pasquale Maietta. Ho ricordato che prima di ricevere i soldi, vi era stata la presentazione da parte della Meloni di Maietta quale candidato, avvenuta presso il centro commerciale Latina Fiori. Noi eravamo presenti, ma ovviamente in disparte. C'era molta gente, diversi esponenti politici e diverse persone dello staff della Meloni. Tra queste era presente l'uomo che mi ha consegnato i 35mila euro all'Eur». Insomma, la Meloni «presenta» Maietta in un comizio, e nessuno presenta la delegazione del clan alla Meloni, visto che Riccardo e gli altri restano «ovviamente in disparte», e sparisce anche l'«ordine di pagamento» diretto dalla leader di Fdi. Che, infatti, ieri ha subito rimarcato la marcia indietro del pentito del quale Repubblica non si era accorta, con un piccato post. «Guarda un po' cosa riporta il quotidiano Latina Oggi», scrive la presidente di Fdi: «L'attendibilissimo pentito dello scoop di Repubblica aveva rettificato le accuse nei confronti miei e di Fdi già molto tempo fa. È negli stessi atti utilizzati da Repubblica per gettare fango su di noi, ma evidentemente quella parte dei verbali non era piaciuta a chi doveva costruire accuse fondate sul nulla per attaccare l'unica forza di opposizione della Nazione». «Che sorta di giornalismo è questo?», conclude la Meloni, «Nessuno si vergogna per questo squallore?».
Emma Bonino, sua alleata almeno nell’ultima crisi di governo, critica invece Matteo Renzi sui sauditi, dopo che si è saputo di un nuovo viaggio del leader di Italia Viva a Riyad:
«Qui manca il senso della misura», dice secca Emma Bonino, senatrice di +Europa, già ministra degli Esteri nel governo Letta. Dall'alto della sua lunga esperienza internazionale e diplomatica, non trattiene un sorriso pensando al nuovo viaggio di Matteo Renzi in un Paese arabo: «Ho letto che a Dubai alloggia nell'hotel a forma di vela, quello famoso». Dopo le polemiche per la sua recente visita a Riad, avrebbe fatto meglio a soprassedere? «Non voglio dare lezioni a nessuno, anche perché non so cosa stia facendo lì, magari nel suo contratto come membro del board della fondazione saudita sono previsti incontri e appuntamenti a cui non può sottrarsi. Certo, politicamente parlando, esiste il senso della misura, che lui mi pare abbia già dimostrato di non avere». Si riferisce all'incontro con il principe saudita Bin Salman? «Beh, se proprio voleva partecipare a quell'evento, poteva evitare di esaltare in quel modo il padrone di casa, di parlare di "nuovo Rinascimento" per l'Arabia Saudita. Bastava pensare a Macron, alle polemiche per la Legion d'Onore ad Al Sisi: un conto è mantenere rapporti necessari, dal punto di vista economico e commerciale, un altro è lasciarsi andare a una imbarazzante celebrazione. Anche il ministro Di Maio è stato da Bin Salman a gennaio, ma senza uscirsene con riferimenti al Rinascimento».
8 MARZO IN LOCKDOWN. PARLA DRAGHI
Oggi è la Festa della donna, ricorrenza segnata fatalmente anche dal lockdown. I giornali propongono ritratti, storie personali, riflessioni quasi a ripianare il vuoto prodotto dal virus. Mario Draghi dovrebbe intervenire con un videomessaggio di auguri. Sarebbe la sua prima uscita pubblica, dopo la lettura al Quirinale della lista dei Ministri. Su Repubblica Elena Bonetti, ministra della Pari Opportunità, fa il punto su che cosa si impegna il Governo.
«Partiamo dalla misura più urgente. Quando arrivano i nuovi congedi-Covid? In gran parte d'Italia le scuole sono di nuovo chiuse. Madri e padri hanno finito ferie, permessi, aspettative. «Saranno inseriti nel prossimo decreto-sostegno, spero già in questa settimana. Ho chiesto che siano retroattivi e retribuiti almeno al cinquanta per cento dello stipendio. I genitori, a turno, potranno chiedere lo smart working per ogni giorno in cui i figli, minori di 16 anni, dovranno seguire le lezioni a distanza. Per le partite Iva ho chiesto la reintroduzione di sostegni come i voucher baby sitter. Il Mef sta ragionando su uno stanziamento di 200 milioni di euro». Molte di quelle lavoratrici il posto l'hanno già perduto. Il 55,9% dei lavori "bruciati" dal Covid ha riguardato le donne. «Dati gravissimi, ma abbiamo messo in atto misure che potrebbero dare risposte in tempi brevi. A partire dalla legge di bilancio 2021, appena entrata in vigore, che prevede una decontribuzione per le aziende che assumono donne». Pensa che le aziende la applicheranno? Non crede ci sia il rischio che pur di non assumere una donna, giovane, magari "a rischio" maternità, continuino a preferire i maschi? «Il problema culturale c'è, è reale. E fino a quando non riusciremo a scardinare questo pregiudizio nei confronti delle donne, dobbiamo fare politiche serrate per rendere conveniente e agevolare l'occupazione femminile. Dalle quote al Piano strategico sulla parità di genere a cui diamo inizio oggi. L'Italia non ha mai avuto un piano Parità e lo costruiremo con le associazioni, le parti sociali e tutti i livelli istituzionali». Con quali obiettivi? «Creare prima di tutto reti di welfare per aiutare le donne a entrare, o a rientrare, nel mondo del lavoro. Uno dei cardini è la costruzione di nuovi asili nido che portino la presenza dei bambini 0-3 in questi servizi almeno al 50 per cento entro il 2026. Su questa sfida educativa che nello stesso tempo, come sappiamo, libera l'occupazione femminile, abbiamo messo in campo gli investimenti più forti». Quali sono le cifre? «Con i fondi del "Next Generation" dovrebbero arrivare 3 miliardi e 600 milioni. Nella legge di bilancio del 2020 sono già stati stanziati 2 miliardi e mezzo. Finanzieremo con 50 milioni di euro i progetti di quelle aziende che sostengono il rientro al lavoro delle donne dopo la maternità e welfare aggiuntivo per le famiglie. Poi c'è l'accesso al credito femminile». La possibilità di avere finanziamenti dalle banche per creare imprese in proprio? «Sì. Prestiti garantiti dallo Stato. Per le donne, e questa è un'altra discriminazione, è più difficile accedere al credito rispetto agli uomini. Per il 2021 abbiamo un fondo di venti milioni di euro per l'imprenditoria femminile».
Su La Stampa la scrittrice Dacia Maraini incoraggia le donne italiane:
«Le donne stanno pagando duramente la pandemia: le prime a perdere il lavoro, le prime a essere ricacciate in casa: quella casa che abbiamo imparato a conoscere come un posto spesso pericoloso. Eppure, nonostante queste difficoltà, le donne reagiscono, lavorano sodo, prendono la segregazione come un'occasione per rilanciare un impegno sociale difficile e faticoso. Penso alle insegnanti delle scuole che stanno facendo del loro meglio per mantenere vivo l'apprendimento. Penso alle tante infermiere che rischiano la vita negli ospedali, chiuse dentro scafandri da palombaro che diventeranno dei forni nei prossimi mesi estivi. In questo pandemonio molti si affannano a cercare un colpevole. Un complotto? Una manovra subdola e velenosa per tenere sotto scacco il popolo innocente? Lo si è sempre fatto in tempi di epidemie, ma non è mai servito a niente, salvo creare sospetti, livori e aggressività. La paura porta a galla i peggiori istinti dell'uomo: homo homini lupus, mai così vero come in momenti di allarme sociale e sanitario. Cosa fare? Prima di tutto non lasciarsi scoraggiare. Prendiamo l'occasione per rivedere le nostre idee, le nostre sicurezze. Rimbocchiamoci le maniche per cercare di costruire un nuovo modo di stare al mondo, più attento al futuro, più responsabile e coraggioso. Io stessa, che oggi sono divisa fra lo scoraggiamento e la voglia di reagire, capisco che devo allontanare lo smarrimento e cercare vitali alleanze per sconfiggere un nemico invisibile, crudele e misterioso».